Una piovosa domenica d’inverno, aperitivo, seduti al bar con gli amici con uno spritz tra le mani. Si parla di basket, si parla inevitabilmente di figa, poi ancora di basket. Sorso di spritz.
Per qualche strana ragione si comincia a parlare di montagna, il documentario sul K2 che c’è su Netflix. Altro sorso di spritz e patatina. Si parla di quanto è affascinante la montagna, l’alta montagna, gli ottomila, il Nepal, il campo base dell’Everest. Sorso di spritz, patatina e pure un salatino.
Negli occhi di Gian scatta la scintilla: “Gio, nel 2019 andiamo al campo base dell’Everest!”.
Non sappiamo se ci andremo per davvero, forse no, ma mai dire mai! Sta di fatto che abbiamo usato la scusa per organizzare un weekend in montagna, destinazione Rifugio Quinto Alpini sotto il Monte Zebrù.
Il tempo di organizzarci, capire chi ci sarà e chi no ed ecco la brutta notizia, nel weekend per noi buono il rifugio è pieno, bisogna trovare in fretta una valida alternativa. Il buon Curzio propone la salita al Rifugio Coca e il giorno seguente la traversata fino al Rifugio Curò. Non c’è nemmeno bisogno di pensarci, si va sulle Orobie!
Partiamo in due gruppi separati, nel primo pomeriggio attaccano il sentiero Teo, Gian, Ali, Maddi e il sottoscritto, mentre nel tardo pomeriggio è la volta di Curzio e Sara.
La salita al Rifugio Coca consiste in soli tre chilometri che però presentano un dislivello superiore ai 900 metri! Capiamo subito che sarà una lenta ascesa, sia per la pendenza che per il caldo asfissiante in mezzo al bosco. Quel bosco che ci riserva un incontro ravvicinato con uno stambecco, ci fissa, si sposta, sembra quasi mettersi in posa, un momento decisamente particolare!
Non siamo molto in alto, il Rifugio Coca si trova a 1892 metri e si parte dai 900 di Valbondione, la caldazza si fa sentire alla grande e per trovare un po’ di fresco bisogna attendere l’ultimo tratto del sentiero. In poco meno di tre ore arriviamo a destinazione, giusto il tempo di fare una doccia, mettere a posto le cose, attendere l’arrivo di Curzio e Sara e siamo pronti a mangiare.
Il rifugio è sold out, ma nonostante questo l’atmosfera non è quella di un hotel in alta montagna, l’impervio sentiero per raggiungerlo comporta che i frequentatori siano veri amanti della montagna e non camminatori della domenica e personalmente la cosa non può che rallegrarmi!
La notte non è semplice, scopriamo purtroppo solo in mattinata che i nostri compagni di stanza erano vecchie glorie della nazionale italiana russatori, ora si spiegano tante cose! La colazione è abbondante, il sole picchia e fuori si sta alla grande, non c’è una nuvola, giornata perfetta, possiamo partire.
Dai 1892 metri si comincia a salire abbastanza dolcemente seguendo il sentiero 303. Si cammina in mezzo ai prati e man mano si guadagna quota sempre circondati dalle vette orobiche della zona e con la vista a strapiombo sul paese di Valbondione, giusto quel migliaio di metri più in basso.
Il tratto tecnico si avvicina, un sentiero stretto tutto a mezzacosta e in alcuni tratti abbastanza esposto. Soffro di vertigini da sempre, ultimamente ho vinto un po’ la paura del vuoto, ma non pensavo di reagire così bene in un tratto del genere.
Rimango quasi sempre in fondo al gruppo perchè mi attardo per scattare qualche foto, qualche passaggio richiede delle attenzioni particolari, a volte però sembra più complesso a vederlo che a farlo! La salita finale presenta una catena per attaccarsi, aiuto fondamentale per non scivolare sul terreno, ma finita questa difficoltà il tratto più impegnativo e divertente è fatto.
Ora bisogna scendere e la caviglia bionica comincia a risentirne, scendo con calma ammirando più volte il panorama sul Lago del Berbellino. Ho sempre snobbato questi luoghi, devo decisamente ricredermi!
Arrivati in riva al torrente troviamo il posto perfetto per un tuffo, la pozza è lì che ci aspetta, rapido cambio d’abito e tutti dentro! La sensazione è di morte improvvisa, ma una volta usciti si sta divinamente e i tuffi diventano prima due, poi tre, poi però lo stomaco comincia a brontolare!
Per raggiungere il Curò bisogna coprire il dislivello della diga e costeggiare in parte le acque celesti del lago artificiale, ma la cosa che cattura la nostra attenzione sono gli stambecchi in piedi sul ripidissimo muro della diga a leccare la roccia ricca di sali minerali, uno spettacolo.
Per il pranzo c’è da attendere e la scusa è buona per farci due birre in allegria, dopodichè ci facciamo violenza con un bel piatto di polenta e formaggi misti, l’ideale per affrontare la facile discesa verso il paese.
Dovevamo tornare al Quinto Alpini nel Parco Nazionale dello Stelvio, siamo finiti sulle Orobie, posti che non conoscevo, paesaggi sicuramente differenti, altitudini minori, compagnia perfetta e la solita magia che solo la montagna sa regalare!